Quello che sta accadendo in questi giorni è una pallida copia di quello che succederà quando il clima andrà fuori controllo. È come se stessimo facendo le prove generali, quando le mascherine, non queste, ma quelle che prontamente l’industria produrrà come nuova merce griffata indispensabile, le dovremo portare non contro un invisibile virus, ma contro la stessa aria che respireremo. Come da tempo, d’altra parte, sta già accadendo a Pechino, Seul o Città del Messico, posti dove la pollution è già avanzata e pare inarrestabile. In questi giorni la produzione di merci è rallentata, la distribuzione pure, i consumi ancora di più. Se gli allarmi e le paranoie dovessero crescere e diffondersi i supermercati sarebbero vuoti, assaliti da bande di cittadini angosciati (in parte anche questo è già avvenuto), i posti di lavoro crollerebbero, e ogni città paese quartiere casa diverrebbe un presidio contro il nemico, che non essendo identificabile può divenire chiunque basta che gli sciacalli di turno additino l’untore su cui riversare le proprie fobie. In questi giorni la produzione di CO2 nell’atmosfera si è ridotta drasticamente, meno voli inutili, meno corse, meno di tutto, un generale rallentamento.
Il rapporto tra emissioni nocive e produzione di merci evidenzia un fatto inequivocabile:
se davvero vogliamo salvare il pianeta occorre che questo sistema crolli, non ci sono vie di mezzo. Che la scienza e la tecnica risolveranno i disastri del sistema capitalistico- consumistico è solo una pia illusione, l’impero del profitto non cambierà cavallo in corsa se non quando sarà sicuro che la green economy diverrà foriera di alti profitti e se e quando questo avverrà, sarà troppo tardi. Già questa parola, green economy, è un controsenso, come se il sistema economico che finora ha agito potesse davvero mutare pelle, no, è uno slogan buono per le industrie estrattive, per tutto il sistema che vive e fa profitti sui combustibili fossili per far credere che stiano cambiando il modo di produrre mentre in realtà continuano a investire ancora in carbone e petrolio e metano.
È che nessuno, davvero nessuno vuole tentare di immaginare quello che succederà se il ritmo di crescita dovesse continuare a progredire, consumando ancora di più le fette dell’unica torta che abbiamo in comune, il pianeta. Nessuno vuole immaginarlo perché si dovrebbe correre ai ripari in modo drastico, veloce, quello che appunto, in piccolo, sta accadendo per questa diffusione del coronavirus.
Quelli che credono che la terra sia un immenso organismo vivente, possono pensare che madre terra abbia deciso di dare un avvertimento, facendo veicolare un minuscolo esserino a dimostrare la totale fragilità del mondo contemporaneo.
Ma anche questa è una favola dietrologica che non serve a nulla. Gli unici che possono fare qualcosa per sovvertire l’ordine delle cose sono gli stessi responsabili di quello che sta accadendo: noi, l’homo sapiens. Ma non lo stiamo facendo, stiamo solo parlando e spaventandoci delle nostre stesse parole. Occorre agire, e le azioni non posso essere demandate allo stesso sistema che ha generato questo stato di cose. Forse bisogna aspettare che l’inquietudine cresca insieme alla consapevolezza, ma è già tardi e nessuno nel ricco occidente è disposto a immaginare un prossimo futuro di rinuncia ai privilegi e alle comodità di cui adesso usufruisce.